Brevi cenni sulla Responsabilità Colposa
La colpa è il criterio di attribuzione soggettiva della responsabilità penale che si contrappone al dolo in quanto caratterizzato dall’assenza della volontà di alcuno o di tutti gli elementi del fatto tipico. Ai sensi dell’art. 43 c.p. il delitto è “colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Gli Elementi Essenziali della Colpa
Gli elementi essenziali della colpa sono
- l’assenza di volontà di alcuni o di tutti gli elementi del fatto tipico e, in ogni caso, dell’evento offensivo ove esistente;
- la realizzazione di una condotta contraria a regole cautelari derivanti da massime di esperienza (prudenza, diligenza e perizia) o da fonti normative generali (leggi e regolamenti) o individuali (ordini);
- l’attribuibilità psichica della condotta contraria alle regole cautelari.
A seconda che la condotta posta in essere sia contraria a norme cautelari poste da fonti normative o norme cautelari che, invece, abbiano natura sociale o comunque, non siano cristallizzate in fonti normative, si distingue tra colpa specifica e colpa generica. Più specificamente, la colpa generica può, poi, estrinsecarsi in:
- un comportamento imprudente, un’azione, cioè, che, secondo le massime d’esperienza, non doveva essere compiuta o doveva esserlo in guisa differente;
- un comportamento non diligente e, cioè, l’omissione di un atto dovuto secondo le prescrizioni delle massime d’esperienza;
- un’imperizia e, cioè, un comportamento imprudente o non diligente per violazione di regole tecniche da parte di soggetti particolarmente qualificati.
E’ necessario sottolineare che il rispetto delle norme cautelari poste da fonti formali non esonera dal rispetto contestuale delle norme poste da quelle non formalizzate, pertanto, l’esclusione della colpa specifica non garantisce, che, nel caso di specie, l’agente possa essere rimproverato a titolo di colpa generica. Quanto all’accertamento della responsabilità colposa, è necessaria la contemporanea sussistenza di tre requisiti:
- l’inosservanza della regola di condotta;
- l’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza delle norme cautelari;
- l’esigibilità dell’osservanza.
Quanto al primo requisito, nel caso della colpa generica, l’inosservanza della regola cautelare andrebbe valutata secondo il parametro del c.d. agente modello, cioè del prototipo ideale di persona giudiziosa e prudente che eserciti la stessa professione, la stessa funzione o la stessa attività del soggetto agente. Secondo altra corrente interpretativa, invece, sarebbe necessario ancorare l’elemento dell’osservanza della regola cautelare a parametri maggiormente obiettivi, quale ad esempio, il criterio della miglior scienza ed esperienza del momento storico in cui opera l’agente. Per potere formalizzare l’addebito colposo, non è sufficiente la violazione della regola cautelare, ma è necessario verificare che la norma cautelare violata fosse diretta ad evitare proprio il tipo di evento dannoso verificatosi. Dovrà, quindi, accertarsi che l’evento cagionato dal comportamento inosservante costituisca la concretizzazione del rischio contro cui è rivolta la norma di diligenza, di prudenza o di perizia. Per quanto attiene, invece, al terzo elemento, si tratta probabilmente del momento più delicato del processo di accertamento della responsabilità colpevole, perché si tratta di stabilire se l’inosservanza del dovere obiettivo di diligenza, prudenza o perizia, il cui rischio sia concretizzato dall’evento cagionato, possa anche essere personalmente attribuito all’agente. Se il risultato della condotta non poteva essere, in alcun modo, preveduto dall’agente, pur con l’adozione delle necessarie cautele, è evidente che il risultato non possa essergli addebitato sotto il profilo della colpevolezza. Perché l’agente possa essere ritenuto colpevole non è sufficiente che abbia agito in violazione di una regola cautelare ma è necessario che non abbia previsto che quella violazione avrebbe avuto come conseguenza il verificarsi dell’evento. Se dunque quella conseguenza dell’azione non è stata prevista perché non era prevedibile non v’è responsabilità per colpa. Secondo la giurisprudenza dominante l’agente sarà, dunque rimproverabile a titolo di colpa solo se non ha tenuto conto delle conseguenze della sua condotta che conosceva o era tenuto a conoscere in base alla sua professione e alla sua condizione.Sotto il profilo del grado della colpa si distingue tra colpa grave e colpa lieve.
1. La Colpa Medica
1.1 Introduzione
Una particolare forma di colpa è la c.d. colpa professionale, quella cioè del professionista il quale compie un illecito penale nell’esercizio della sua attività.Più precisamente, la responsabilità del professionista sanitario gravita, per lo più, nell’area del rischio consentito, intesa cioè come quella nella quale sono collocate le condotte rischiose che, seppure consentite dall’ordinamento per l’intrinseca utilità sociale che ne deriva, hanno oltrepassato il limite stabilito dal rispetto di determinate regole di cautela.Sebbene, nel nostro ordinamento il grado della colpa non ha, di regola, rilievo se non in funzione del quantum di pena, nell’ambito della colpa medica, si è posta la questione del ruolo che avrebbe potuto assumere la norma di cui all’art. 2236 del codice civile.Tale disposizione, con riferimento alla responsabilità contrattuale del professionista dispone che: “ se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.In considerazione della particolare rilevanza ed utilità sociale della professione sanitaria, ci si è chiesti se la limitazione della responsabilità operata, sotto il profilo della responsabilità civile, dall’art. 2236 c.c. potesse trovare applicazione anche nell’ambito della responsabilità penale.Gli orientamenti della giurisprudenza al riguardo sono stati oscillanti.Secondo la più risalente giurisprudenza di legittimità, in tema di colpa nell’esercizio della professione medica, la responsabilità penale non potrebbe configurarsi se non nelle ipotesi connotate da colpa grave ( alla stregua di quanto disposto per la responsabilità civile dall’art. 2236 c.c.). Ciò, in ragione della necessità di attendere ad esigenze di organicità e logicità dell’ordinamento giuridico, per le quali un comportamento che non concretizza neppure un illecito civile non possa assumere rilevanza nel più rigoroso ambito penale.Tale limitazione, tuttavia, poteva operare solo nell’ipotesi in cui le prestazione medica presentasse particolari difficoltà tecniche.La questione venne sollevata anche davanti alla Corte Costituzione con riferimento alla legittimità degli art. 589 e 43 del codice penale, in relazione agli art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, secondo la costante applicazione giurisprudenziale, consentivano che nella valutazione della colpa professionale, il giudice potesse attribuire rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare. La Corte Costituzionale con sentenza 28 novembre 1973 n. 166 ritenne non fondata la questione.Altro indirizzo giurisprudenziale (minoritario ai tempi), invece, rifiutò, l’inquadramento della colpa penale nei parametri di cui all’art. 2236 c.c. introducendo, tuttavia, un temperamento consistente nel fatto che la colpa del medico dovesse essere valutata con “larghezza e comprensione”.Progressivamente, attraverso la valorizzazione del diritto alla salute, quale preminente bene costituzionalmente garantito, la giurisprudenza più recente, ha abbandonato il più indulgente e risalente orientamento fino al riconoscimento del principio opposto alla stregua del quale deve essere escluso ogni rilievo all’art. 2236 c.c. nell’ambito della responsabilità penale con la conseguenza che la colpa professionale debba essere valutata solo sulla base delle regole generali di cui all’art. 43 c.p. Tuttalpiù, secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, la norma civilistica in esame rileverebbe, nell’ambito penale, solo in quanto esprimerebbe un “criterio di razionalità del giudizio”, trovando applicazione solo “come regola di esperienza cui attenersi nell’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di specifica difficoltà” (Cass. Pen. Sez. IV, n. 16328/2011).
1.2 Responsabilità da Omessa o Ritardata Diagnosi
La responsabilità colposa del sanitario può concretizzarsi nei cd. errori diagnostici che ricomprendono l’errata, omessa o ritardata diagnosi. L’errore diagnostico consiste nella condotta del medico che” non compia” una corretta e tempestiva diagnosi della patologia del paziente, determinando così un ritardo nell’avvio delle cure corrette ed opportune. Esso si configura “ non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico o si addivenga a un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti prudenzialmente doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi”. (Tribunale di Brescia, sez, pen.,sentenza n.3457/2010).Perché in capo al medico si configuri una responsabilità colposa è necessario che la mancata o errata diagnosi costituisca la condicio sine qua non della lesione, senza la quale l’evento dannoso non si sarebbe verificato. Naturalmente, in base all’evento dannoso prodotto diverse saranno le conseguenze giuridiche sia sotto il profilo penalistico che civilistico. Sotto il primo profilo, i reati ascrivibili al medico andranno dalle lesioni colpose, più o meno gravi, all’omicidio colposo, se dall’errore sarà derivata la morte del paziente.
Pronunce giurisprudenziali:
- Diagnosi errata: una sentenza favorevole a medico e cardiologo, prosciolti perché l’urgenza accresceva la difficoltà (Cass.pen., V sez. sentenza n.16328/11). La valutazione della colpa medica ex art. 43 c.p. deve essere compiuta avuto riguardo alla specifica difficoltà del problema tecnico-scientifico affrontato. La Cassazione, quindi, conferma il proprio orientamento in tema di responsabilità medica sottolineando che la colpa del medico deve essere rapportata “alle contingenze del caso concreto, alla difficoltà dell’indagine ed alla situazione nella quale il sanitario si trova ad operare.”Data la rischiosità e la pericolosità insite nell’attività medica, solo attraverso un’attenta e prudente analisi della realtà di ciascun caso è possibili individuare e distinguere i casi nei quali vi è una particolare difficoltà della diagnosi, sovente accresciuta dall’urgenza, da quelli in cui, invece, il medico non si adopera per fronteggiare adeguatamente l’urgenza o tiene comportamenti semplicemente omissivi, tanto più quando la sua specializzazione gli impone di agire tempestivamente proprio in urgenza.
- Errore diagnostico: Omessa diagnosi di malattie oncologiche – (Cass. Penale sez. IV Sentenze n.36602 e 36603 del 2011).Con due recenti sentenze, pronunciate in successione tra loro, la Corte di Cassazione ha posto l’accento, al fine di escludere la responsabilità del medico, sulla rilevanza della tempestività della diagnosi di una patologia oncologica. Nella prima sentenza la Suprema Corte ha ravvisato la responsabilità penale del pediatra per il decesso di una bambina affetta da neoplasia in quanto, per superficialità, sottovalutazione della sintomatologia e mancato approfondimento diagnostico, aveva omesso di diagnosticare tempestivamente la patologia dalla quale era affetta la piccola, rendendo così impossibile intervenire chirurgicamente con un’operazione che, stante la natura benigna della patologia in questione, sarebbe certamente risultata salvifica. Nell’altra sentenza (n.36603), sempre in tema di diagnosi della malattia oncologica, la Suprema Corte ha ribadito la responsabilità penale del sanitario derivante dall’omissione di una diagnosi precoce, a nulla rilevando che la malattia si fosse manifesta molto più tardi rispetto al suo radicarsi. La Corte chiarisce, infatti, che “all’affermazione secondo la quale la metastatizzazione del tumore può avere inizio persino anche alcuni anni prima rispetto alla possibilità di diagnosticarne la presenza, si sarebbe dovuta preferire quella, propria della “scienza medica” secondo la quale sia necessaria sempre una sollecita diagnosi delle patologie tumorali e la prognosi della malattia vari a seconda della tempestività dell’accertamento, di talché l’affermazione secondo cui una diagnosi svolta cinque mesi prima non sarebbe servita ad evitare l’evolversi della patologia nei medesimi termini in cui ciò era avvenuto sarebbe stata priva di fondatezza”.
- Diagnosi errata e malattia rara. Sussiste reato di lesioni personali colpose (App. Palermo Sez. III, Sent., 05-03-2012).Nel caso di specie, la Suprema Corte ha riconosciuto la penale responsabilità del medico per “indiscutibile omissione diagnostica” non avendo fatto tutto quello che richiedeva il protocollo per accertare l’esistenza della frattura-lussazione. Nè può ritenersi che costituisca una giustificazione dell’errore diagnostico il fatto che la suddetta frattura rappresenti una rarità nel campo delle lussazioni dell’omero. Anzi, tale circostanza avrebbe dovuto indurre il medico ad una maggiore attenzione.Sussiste il nesso di causalità tra detta colpa e il danno derivato dal ritardo della diagnosi- ossia l’indebolimento della funzionalità dell’arto- dal momento che, ove fosse stata tempestivamente diagnosticata al paziente la lussazione della spalla, egli avrebbe evitato il secondo intervento chirurgico e la dolorosa fisioterapia con il conseguente indebolimento della funzionalità dell’arto patita.
- Errore diagnostico: il campo di specializzazione è irrilevante. .(C. Cass., sez. IV Penale – sentenza n.13542/2013).La Suprema Corte ha stabilito la responsabilità penale del medico specialista pneumologo che, dopo aver ravvisato la necessità di sottoporre il paziente a ulteriori esami diagnostici, aveva formulato una diagnosi senza acquisire integralmente gli esiti degli ulteriori accertamenti, che gli avrebbero consentito di rilevare la grave patologia cardiaca in atto e di intervenire adeguatamente, evitando il successivo decesso del paziente.“Dalla condotta posta essere dal medico emergono profili di imperizia e di negligenza, avendo il medico formulare una diagnosi – rivelatasi errata – senza attendere e visionare gli esiti degli esami cardiologici in palese violazione del dovere che grava sul singolo esercente la professione sanitaria, rispetto alla effettuazione della valutazione diagnostica”Infatti, la circostanza che la patologia fosse a carico dell’apparato cardiocircolatorio, di competenza quindi di altro specialista( che aveva già esaminato il paziente),” non lo esimeva dal conoscere e valutare l’attività svolta da altro medico”, considerato che “che tutte le attività poste in essere da diversi medici convergono verso il fine comune della cura del paziente”.Tale conclusione si fonda sulla considerazione che in tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. Proprio errori di questo tipo sono rinvenibili nella condotta dell’imputato che finisce, quindi, per rispondere della morte del giovane paziente.
In ambito civilistico la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, contempla una vasta tipologia di danno riconducibile alla errata e intempestiva diagnosi della patologia; in particolare
- Danno da morte – sussiste la responsabilità professionale del medico curante per non aver disposto il ricovero ospedaliero al paziente colpito da infarto miocardico acuto, complicato da scompenso cardiaco, non ritenendolo necessario. “L’accertamento peritale dal quale si evinca che un tempestivo ricovero ospedaliero con conseguente inquadramento diagnostico ed un altrettanto tempestivo trattamento terapeutico, pur non garantendo la sopravvivenza del paziente, certamente avrebbe ridotto il tasso di mortalità induce a ritenere che il paziente, se tempestivamente ricoverato e sottoposto a trattamenti idonei, avrebbe avuto una possibilità di sopravvivenza attestata intorno al 50%-70%. Alla luce di siffatte considerazioni deve concludersi per la sussistenza del nesso causale tra la condotta del medico, della quale deve ritenersi accertata la natura colposa, e la morte del paziente. Ne consegue il diritto degli eredi al risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato dalla sofferenza soggettiva conseguente alla perdita del rapporto parentale (…).” (Tribunale di Trento, Civile, Sentenza 9 giugno 2011, n. 496).
- Danno da perdita di chance di sopravvivenza – La Suprema Corte ha recentemente ribadito “ l’esistenza e la risarcibilità della chance quale posta patrimoniale autonoma” in caso di omessa diagnosi del sanitario (Cass. Civ. sez.III, sentenza n.21254/2012). In questa ipotesi “l’accertamento è incentrato sul tipo di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi di danno emergente, incidente su di un diverso bene giuridico, quale la mera possibilità del risultato finale (della sopravvivenza del paziente).
- Danno da menomazione fisica in conseguenza di un intervento più invasivo evitabile con una diagnosi tempestiva.
- Danno da ritardo nella sottoposizione del paziente ad interventi palliativi.- Nel caso di omessa diagnosi di “processo morboso terminale”, la Suprema Corte ha statuito che l’omissione diagnostica “che abbia determinato un ritardo nella possibilità di intervenire con un intervento cd. palliativo, cagiona al paziente un danno alla persona anche per il solo fatto di non aver consentito di alleviare le sue sofferenze, ovvero di evitare che l’esito letale si verificasse anzitempo, con conseguente perdita della chance di vivere anche alcune settimane o mesi in più. Sempre in tema di omessa diagnosi di processo morboso terminale, è poi stato ritenuto danno risarcibile anche il fatto che il malato terminale sia stato privato della possibilità di programmare il proprio essere persona e di esplicare le sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino all’esito finale” (Cassazione, Sez. III, Sentenza n. 23846 del 18 settembre 2008).
- Danno non patrimoniale per lo stato di ansia cagionato dalla “incertezza diagnostica”- “L’errore diagnostico che comporta un ritardo nell’accertamento di una grave malattia, anche nel caso in cui non abbia avuto alcuna influenza negativa sull’evoluzione, sul trattamento e sulla prognosi di questa, è comunque idoneo ad ingenerare nel paziente uno stato d’ansia (e quindi un danno non patrimoniale) da “incertezza diagnostica”, situazione che, pur essendo grossolanamente assimilabile all’inabilità temporanea, può tuttavia essere risarcita, ove provata, solo facendo ricorso ai criteri equitativi”.(Tribunale di Treviso, Sez. I Civile, Sentenza n. 578/2010).
Casistica giurisprudenziale di ipotesi particolari:
- Erronea lettura – “In tema di responsabilità dell’ente ospedaliero o clinico in relazione ai danni riportati dal paziente, in particolare, per una diagnosi errata o, comunque, incompleta, atteso che siffatta responsabilità deve essere ricondotta nell’ambito di quella professionale medica, deve ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 2236 c.c.. L’azienda ospedaliera, in particolare, non risponde dei danni derivanti da prestazioni che comportino la soluzione di problemi di particolare difficoltà (salvo i limiti necessariamente connessi al dolo ed alla colpa grave) purché offra compiuta dimostrazione circa l’esistenza, nel caso concreto, di siffatto presupposto attenuativo. Non può, in particolare, ritenersi attenuata o attenuabile la responsabilità dell’Ente in relazione all’omessa diagnosi di una frattura delle dita del piede atteso che tale patologia risulta rilevabile con la semplice lettura dell’esame radiografico, lettura che, per consolidata esperienza medica, non risulta particolarmente difficoltosa”.( Tribunale di Monza, sez. I civile, sentenza n.1130/2011).
- Omessa esecuzione di controlli prudenziali opportuni – “In tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico o si addivenga a un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti prudenzialmente doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi”. (Tribunale di Brescia, sez. penale, sentenza n.3457/2010).
- Omessa diagnosi di gravidanza in corso – Un profilo particolare di danno da omessa diagnosi riguarda il caso di omessa diagnosi di una gravidanza in corso, nel caso in cui ciò impedisca alla gestante di ricorrere all’aborto nel termine legislativamente previsto, “ cagionando alla donna un danno non patrimoniale, per l’evidente maggiore difficoltà di gestire un aborto in stadio inoltrato – l’errore diagnostico era relativo alla presenza di una malformazione nel feto”.(Tribunale di Napoli, sentenza 1 giugno 2010).
1.3 Responsabilità Medica d’Equipe
Si definisce attività medico-chirurgica d’equipe quella caratterizzata dalla partecipazione e dalla collaborazione di più sanitari che interagiscono tra loro nell’esecuzione di un intervento o nell’applicazione di un terapia medica. Si fa riferimento non solo alle ipotesi di intervento congiunto di più medici in favore di un solo paziente, ma anche a quelle in cui l’eventuale intervento terapeutico avvenga in tempi diversi, da parte di più medici, ognuno dei quali con specifici compiti. In merito sono sorti ampi dibattiti in materia giurisprudenziale, soprattutto volti a stabilire- in caso di esito infausto del trattamento sanitario- se ed in che limiti il medico sia chiamato a rispondere dei comportamenti colposi riferibili ad altri componenti dell’equipe e, fino a che punto si estendano i suoi obblighi di diligenza, perizia e prudenza laddove si trovi ad operare unitamente ad altri soggetti.La suddetta questione è stata risolta in dottrina e giurisprudenza applicando il principio dell’affidamento, in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato ad adeguare il proprio comportamento in funzione del rischio di eventuali condotte colpose altrui, potendo fare affidamento sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle regole di diligenza proprie. La soluzione elaborata si fonda sul principio di auto-responsabilità per il quale ciascuno è tenuto a rispondere solo del proprio operato che dovrà naturalmente essere improntato al rispetto delle regole di diligenza, prudenza e perizia senza che il singolo componente dell’equipe debba essere gravato dell’obbligo di sorvegliare l’operato altrui. É doveroso precisare, però, che nel campo dell’attività medica di equipe e della responsabilità che da essa ne deriva, il principio dell’affidamento trova alcuni precisi limiti che, nelle sedi opportune, andranno approfonditamente analizzati.
1.4 La Codificazione delle Regole Cautelari nell’Arte Medica
Altra questione di rilievo centrale nella configurazione della responsabilità colposa nell’ambito delle professioni sanitarie, riguarda la possibilità di parametrare la correttezza dell’agire medico, cioè di individuare standard cautelari tendenzialmente certi che consentano di valutare il lavoro diagnostico e terapeutico. Dottrina e giurisprudenza si sono a lungo chieste se la regola alla quale l’agente (il medico) avrebbe dovuto attenersi sia quella generalmente praticata dai suoi colleghi nelle medesima circostanza o la migliore che la tecnica medica suggerirebbe in un determinato momento storico.Queste difficoltà, nell’ambito dei settori sociali di maggior rischio, come quello dell’arte medica, sembrerebbero consigliare la standardizzazione di regole di cautela a disposizione degli operatori del settori con un adeguato grado di certezza. Tuttavia anche questa scelta potrebbe presentare degli svantaggi qualora per questa via si pervenga ad una automaticità nell’attribuzione della responsabilità a titolo di colpa generica alla sola infrazione (mentre normalmente l’infrazione di una regola generica esige che il giudice valuti in concreto la prevedibilità ed evitabilità dell’evento). In ogni caso, la tendenza verso la standardizzazione delle regole cautelari è ormai sempre più apprezzabile in ambito medico. Prova ne sono i protocolli di azione e le innumerevoli linee guida.Dall’altra, sul versante giuridico, il legislatore, con l’art. 3 della l. 189/2012 (c.d. Decreto Balduzzi), sembrerebbe aver fatto assurgere, implicitamente, le linee guida e le buone prassi mediche al rango di parametro legale della colpa del terapeuta.
2. La Legge Balduzzi
La legge 8 novembre 2012 n. 189 altrimenti detta Legge Balduzzi regola la responsabilità professionale di chi esercita professioni sanitarie, con la previsione dell’esonero del sanitario per colpa lieve nel caso in cui abbia seguito le linee guida, persegue l’obbiettivo di depenalizzare e tentare di tranquillizzare i sanitari nell’esercizio della loro attività, tentando di contenere il fenomeno della c.d. “ medicina difensiva” che, sovente, cagiona danni al paziente da omissione di attività doverosa del sanitario o determina la prescrizione di esami diagnostici inappropriati al solo scopo di evitare responsabilità civili e ha origine dall’intensificarsi del contenzioso in tema di malpractice.
La colpa penale, sia pure in un contesto limitato, assume ora una duplice configurazione. I nuovi tratti della disciplina legale non nascono dal nulla, ma piuttosto germinano sul terreno di controverse letture della colpa professionale, maturate nel corso degli anni sia in ambito teorico che giurisprudenziale. L’analisi dello sviluppo della giurisprudenza in tema di colpa dell’esercente le professioni sanitarie è funzionale alla complessiva lettura del sistema, alla comprensione dell’esatta portata della riforma ed all’armonizzazione del nuovo con il preesistente. La storia della responsabilità medica appare complessa, sfumata e ricca di insegnamenti. Essa costituisce, tra l’altro, il topos per lo studio della colpa grave ora normativamente introdotta nell’ordinamento penale. La più antica giurisprudenza di legittimità in tema di colpa nell’esercizio della professione medica si caratterizza per la particolare ampiezza: si afferma che la responsabilità penale può configurarsi solo nei casi di colpa grave e cioè di macroscopica violazione delle più elementari regole dell’arte. La colpa grave rilevante nell’ambito della professione medica si riscontra nell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria. Dovendo, la colpa del medico, essere valutata dal giudice con larghezza di vedute e comprensione, sia perchè la scienza medica non determina in ordine allo stesso male un unico criterio tassativo di cure, sia perchè nell’arte medica l’errore di apprezzamento è sempre possibile, l’esclusione della colpa professionale trova un limite nella condotta del professionista incompatibile col minimo di cultura e di esperienza che deve legittimamente pretendersi da chi sia abilitato all’esercizio della professione medica.
Insomma, in questa ormai remota giurisprudenza l’esclusione della colpa era la regola e l’imputazione colposa era l’eccezione che si configurava solo nelle situazioni più plateali ed estreme. Il supporto normativo di tale orientamento era stato solitamente individuato nell’art. 2236 c.c., letto come strumento per limitare la responsabilità ai soli casi di errore macroscopico. In dottrina il rilievo in ambito penale di tale norma è stato ricondotto ad un’esigenza di coerenza interna dell’ordinamento giuridico, cioè alla necessità di evitare che comportamenti che non concretizzano neppure un illecito civile assumano rilevanza nel più rigoroso ambito penale. Tale connessione tra le due normative è stata sottoposta in ambito teorico ad importanti precisazioni che la giurisprudenza ha spesso trascurato: le prestazioni richieste devono presentare speciali difficoltà tecniche, ed inoltre la limitazione dell’addebito ai soli casi di colpa grave riguarda l’ambito della perizia e non, invece, quelli della prudenza e della diligenza. In tale visione si riteneva che la valutazione della colpa medica dovesse essere compiuta con speciale cautela nei soli casi in cui si richiedevano interventi particolarmente delicati e complessi e che coinvolgevano l’aspetto più squisitamente scientifico dell’arte medica. La questione della compatibilità tra l’indirizzo ‘benevolo’ della giurisprudenza ed il principio d’uguaglianza è stata posta, nell’anno 1973, all’attenzione della Corte costituzionale (sent. 28 novembre 1973, n. 166) che ha sostanzialmente recepito le linee dell’indicata dottrina, affermando che dagli artt. 589, 42 e 43 c.p. e dall’art. 2236 c.c. è ricavabile una particolare disciplina in tema di responsabilità degli esercenti professioni intellettuali, finalizzata a fronteggiare due opposte esigenze: non mortificare l’iniziativa del professionista col timore d’ingiuste rappresaglie in caso d’insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso. Tale particolare regime, che implicava esenzione o limitazione di responsabilità, però, è stato ritenuto applicabile ai soli casi in cui la prestazione comportasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguardava l’ambito della perizia e non quello della diligenza e della prudenza. Le cose sono ad un certo punto mutate.
Fattasi strada una visione relazionale del rapporto tra sanitario e paziente, a partire dagli anni ottanta dello scorso secolo, si è affermata e consolidata una giurisprudenza radicalmente contrapposta, che esclude qualsiasi rilievo, nell’ambito penale, dell’art. 2236 c.c.; ed impone di valutare la colpa professionale sempre e comunque sulla base delle regole generali in tema di colpa contenute nell’art. 43 c.p.. Si è considerato che la norma civile riguarda il risarcimento del danno, quando la prestazione professionale comporta la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e non può essere applicata all’ambito penale nè in via estensiva, data la completezza e l’omogeneità della disciplina penale della colpa, nè in via analogica, vietata per il carattere eccezionale della disposizione rispetto ai principi in materia. La gravità della colpa potrà avere eventualmente rilievo solo ai fini della graduazione della pena. Con tale approdo, occorre annotare, l’istanza di coerenza interna dell’intero ordinamento è stata sacrificata a quella di uniforme applicazione dell’imputazione colposa in ambito penale. Tuttavia la questione della ponderazione in ordine alla gravità della colpa non si è esaurita.
Espunto l’art. 2236 dal novero delle norme applicabili nell’ordinamento penale, esso vi è rientrato per il criterio di razionalità del giudizio che esprime. La norma civilistica può trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso specifico sottoposto al suo esame impone la soluzione di problemi di specifica difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice può attenersi nel valutare l’addebito di imperizia sia quando si versa in una situazione emergenziale, sia quando il caso implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Questa rivisitazione della normativa civilistica appare importante, non solo perchè recupera le ragioni profonde che stanno alla base del tradizionale criterio normativo di attenuazione dell’imputazione soggettiva, ma anche perchè, in un breve passaggio, la sentenza pone in luce i contesti che per la loro difficoltà possono giustificare una valutazione benevola del comportamento del sanitario: da un lato le contingenze in cui si sia in presenza di difficoltà o novità tecnico-scientifiche; e dall’altro (aspetto mai prima enucleato esplicitamente) le situazioni nelle quali il medico si trovi ad operare in emergenza e quindi in quella temperie intossicata dall’impellenza che rende quasi sempre difficili anche le cose facili.
Quest’ultima notazione, valorizzata come si deve, apre alla considerazione delle contingenze del caso concreto che dischiudono le valutazioni sul profilo soggettivo della colpa, sulla concreta esigibilità della condotta astrattamente doverosa. Si è posta in luce la connessione tra colpa grave ed urgenza terapeutica; e si è rimarcato che una attenta e prudente analisi della realtà di ciascun caso può consentire di cogliere le contingenze nelle quali vi è una particolare difficoltà della diagnosi, sovente accresciuta dall’urgenza; e di distinguere tale situazione da quelle in cui, invece, il medico è malaccorto, non si adopera per fronteggiare adeguatamente l’urgenza o tiene comportamenti semplicemente omissivi, tanto più quando la sua specializzazione gli impone di agire tempestivamente proprio in emergenza. In breve, quindi, la colpa del terapeuta ed in genere dell’esercente una professione di elevata qualificazione va parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiestogli ed al contesto in cui esso si è svolto. Nel valutare la colpa: l’esistenza di una posizione di garanzia non basta di certo, da sola, a fondare l’imputazione, dovendosi esperire il giudizio di rimprovero personale che concretizza la colpevolezza, tenendo adeguatamente conto dei margini d’incertezza connessi all’individuazione dell’area di rischio socialmente accettato. Gli spunti giurisprudenziali di cui si è dato conto si collocano prevalentemente sul versante soggettivo della colpa. Si tenta di valorizzare, sul piano del rimprovero personale, le categorie di rischio e le contingenze che rendono ardua la perfetta osservanza delle leges artis. La nuova legge non incide su tale approccio, che resta dunque parte dell’attuale ordinamento normativo della colpa penale e fornirà nel prosieguo dell’esposizione qualche ulteriore utile indicazione proprio attorno ai problemi connessi all’interpretazione della riforma.